La
“grande domanda”
Nella nostra epoca, caratterizzata da una crescente
smaterializzazione dei flussi globali, i geografi sono riusciti a rivitalizzare
la loro disciplina spostando sempre più la ricerca sul funzionamento delle
reti, in particolare informatiche, che hanno tolto importanza a fattori
spaziali come distanza, estensione, prossimità. Nondimeno, anche dal punto di
vista degli studi geografici più “tradizionali”, alcuni studi hanno riportato
di attualità un concetto che ha attraversato per due millenni la
storia della geografia: l’articolazione costiera dell’Europa, messa in
relazione proprio al suo sviluppo economico.
Nel
1997 Jared Diamond, nel suo ormai classico Guns, Germs and Steel,
propone una lettura comparata della forma del continente europeo e di quella
della Cina, per affermare che la presenza in Europa di grandi isole come la
Gran Bretagna, di penisole e di territori ben delimitati da ostacoli naturali,
ha favorito la sua divisione politica in più stati indipendenti al posto della
sottomissione a un unico potere centrale, come è stato invece in Cina dal XIV
secolo. Questo stato di cose, favorendo la competizione fra vari principi, ha
stimolato nel lungo periodo l’innovazione tecnologica, soprattutto in settori
strategici per il potere e la ricchezza di uno Stato, come la navigazione e
l’arte della guerra. Se la civiltà cinese arriva all’alba dell’età moderna con
un potenziale superiore a quello europeo, il suo centralismo ne ostacola
l’espansione con scelte isolazioniste. «L’Europa invece si ritrovò divisa in
decine o centinaia di Stati indipendenti in continua competizione, che erano
costretti ad accettare le innovazioni per poter sopravvivere: le barriere
geografiche erano sufficienti a prevenire l’unificazione politica, ma non il
passaggio delle idee. Nessuno mai in Europa poté spegnere la luce come in Cina»
[Diamond 1997, 321].
Proponendosi a sua volta di rispondere alla Grand Question di Joseph Needham, arriva a conclusioni simili David Cosandey, che
elabora una sua “ipotesi talassografica” per spiegare lo straordinario impulso
dato dal continente europeo al progresso scientifico e tecnologico. Questa
crescita dipende, secondo Cosandey, dalla compresenza di fattori quali una
stabile divisione politica e una costante crescita economica, vantaggi di cui
l’Europa ha goduto continuativamente per diversi secoli, a differenza delle
altre macroaree alle quali viene confrontata, cioè Cina, India e Islam, proprio
per la sua “talassografia articolata”.
La partie occidentale du continent européen,
par sa silhouette, son profil côtier, sa thalassographie articulée, a poussé
ses habitants à interagir sans cesse, tout en les empêchant de trop se nuire.
Elle leur a garanti un commerce florissant et un ensemble d’États, toujours en
conflit mais durables. C’est dans le dessin exceptionnel de son littoral que se
trouve le secret de l’Occident, la clé de sa réussite extraordinaire [Cosandey
2007, 527].
Ancora più di recente lo studioso di relazioni internazionali
Robert Kaplan ha parlato di “rivincita della geografia” sostenendo che per
comprendere i mille conflitti etnici e identitari in corso nel mondo globale è
necessario rimettere mano all’analisi della conformazione dei territori e della
loro relazione coi popoli. Si citano in particolare la geostoria di Fernand
Braudel e l’idea di heartland elaborata da Halford Mackinder
[Kaplan 2009].
Ci
troviamo di fronte, insomma, a spiegazioni di carattere prettamente geografico.
Ci sembra dunque utile tornare alla formazione della geografia come scienza per
capire meglio origine e portata di tali concetti nella storia di questa
disciplina. Le due ipotesi chiave di questo articolo sono che il principio
dell’articolazione costiera abbia una storia di lunga durata nel pensiero
geografico e che viaggi parallelo ad un altro percorso, quello delle Geografie
Universali, che dal XIX secolo, in area francofona, sono diventate un vero e
proprio genere disciplinare [Tissier 2006].
Dall’antichità
al XIX secolo
Il
primo geografo che definisce l’Europa in base alle sue forme e ai suoi vantaggi
naturali è Strabone, che mette in relazione la sua “varietà di forme” con la
sua prosperità nei capitoli introdottivi dei diciassette volumi della sua Geografia di tutto l’Ecumene, ossia del mondo abitato, che parte dall’Europa per i motivi
così esposti: «Cominciamo dall’Europa, per la varietà di forme, e la virtù
degli uomini e delle forme politiche, e la grande disponibilità di beni, e poi
è abitabile nella sua totalità» [Geografia, II, 5, 26]. Strabone
utilizza alcuni esempi, come la Gallia Narbonese, in cui trova la presenza di
condizioni favorevoli sia all’agricoltura sia alle comunicazioni e ai commerci,
per tentare di stabilire principi di correlazione fra la configurazione dei
territori e le popolazioni che li abitano. Attribuisce la fortuna di queste terre alla pronoia, un
principio in virtù del quale coste, pianure e montagne non sono disposte a caso, ma secondo un disegno che sta al
geografo comprendere. Questo colloca le scienze geografiche su un piano
epistemologico molto elevato, che Strabone definisce proprio all’inizio della
sua opera. «Nessuna scienza é affare di filosofi più della geografia» [Geografia, I, 1, 1]. E’ filosofo, e allo stesso tempo
geografo, colui che è in grado di comprendere e svelare, nel senso platonico
del termine, l’ordine del mondo.
La
compresenza di diverse forme geografiche, per Strabone, è destinata a portare
alla pace e alla prosperità. «L’Europa ha ricevuto dalla natura dei grandi
vantaggi: essendo tutta disseminata di montagne accanto a pianure, dappertutto
i popoli agricoltori e civilizzati vivono fianco a fianco con quelli guerrieri,
ed essendo i primi più numerosi, la pace ha finito per prevalere» [Geografia,
II, 5, 26]. Una pace garantita dall’Impero romano, di cui il geografo greco é
un sostenitore e del quale spiega l’ascesa proprio con le felici condizioni
geografiche della penisola italiana, discretamente protetta dalle invasioni
grazie alle Alpi e al mare, ma allo stesso tempo dotata di buoni porti nel
centro del Mediterraneo.
Questo
antico autore vede uno straordinario ritorno di interesse presso i suoi eredi
del XIX secolo, che traggono dai suoi Prolegomeni una serie di
indicazioni metodologiche. Chi per primo e più sistematicamente recupera la sua
eredità è Carl Ritter, che nell’introduzione alla sua Erdkunde propone
una definizione della storia della disciplina che vede da una parte la
geografia matematica e astronomica, il cui antesignano è Eratostene di Cirene.
Dall’altra parte Erodoto e in seguito Strabone saranno i padri «de la histoire
géographique et de la géographie historique» [Ritter 1974, 55], cioè il genere
al quale si ricollega la sua geografia intesa come «sicuro fondamento delle
scienze storiche» [Ritter 1822]. Anche l’altro grande esponente della
geografia critica tedesca della prima metà del XIX secolo, Alexander von
Humboldt, ha affermato che l’opera di Strabone «dépasse tous les travaux
géographiques de l’antiquité» [Humboldt 1848, 226].
Ritter riprende proprio la pronoia straboniana in un suo scritto, molto noto nella versione
francese del suo allievo Élisée Reclus,
in cui studia «la configuration des différentes parties du monde ou
individualités planétaires qui, sous l’influence des lois générales, et animées
d’une force plastique particulière, se sont développées si diversement» [Ritter
1859, 254].
Il principio più importante esposto
nello scritto è quello dell’articolazione
costiera o litorale [Lefort 1994]. L’Europa, pur essendo meno estesa
dell’Asia e dell’Africa, possiede uno sviluppo costiero in proporzione molto
maggiore sia sul proprio versante mediterraneo sia su quello oceanico. Questo
costituisce un vantaggio sia per le comunicazioni e i primi commerci storici,
sia per la varietà di esperienze e di scambi consentite agli abitanti di questa
parte del mondo. Mentre l’Asia, per le sue dimensioni e la ricchezza di aree
come la Mezzaluna Fertile, poteva essere la culla dei primi passi della
civiltà, l’Europa era destinata a trasmetterla.
L’Europe
est le large prolongement de l’Asie centrale, mais plus elle s’avance vers
l’ouest, plus elle se développe d’une manière indépendante ; elle dépasse
relativement sa voisine d’Orient en richesse d’articulations et de chaînes de
montagnes qui n’empêchent ni par leur hauteur, ni par leur étendue, aucune de
ces parties différentes de communiquer entre elles. C’est ainsi que ce corps
ouvert de tous les côtés et prédestiné par sa configuration même à son
caractère civilisateur, a suivi un développement égal et régulier, et que
l’harmonie de la forme triomphant des forces de la matière a donné à la petite
Europe la prépondérance sur les grands continents [Ritter 1859, 259-260].
Un movimento che è tanto storico
quanto geografico, perché corrisponde a uno spostamento dell’asse della
civiltà, dunque dei temporanei “centri del mondo”, da sud-est a nord-ovest, dal
Mediterraneo orientale all’Italia, prima con l’Impero Romano e poi ancora in
parte, nel Medioevo, con le repubbliche marinare di Genova, Venezia e Amalfi.
Il testimone passerà alla penisola iberica nel periodo delle scoperte
geografiche, poi alle moderne talassocrazie oceaniche dell’Olanda e infine
della Gran Bretagna. «La Grèce, la plus belle individualité
de l’ancien monde, pouvait, à l’époque de sa grandeur, réclamer le titre de
dominatrice d’une partie de la Méditerranée. Aujourd’hui le groupe des Iles
Britanniques, le plus découpé et le plus riche en ports de l’Europe, s’est
distingué entre toutes les nations» [Ibidem, 261]. Ci
troviamo dunque di fronte a un tentativo di spiegare dinamiche territoriali e
umane su quello che gli storici del secolo successivo avrebbero definito il
“lungo periodo”.
Oltre a penisole e promontori
partecipano a definire l’articolazione anche i sistemi insulari. La prima
distinzione che fa Ritter è fra isole vicine e isole lontane. L’isola vicina
favorisce gli scambi e i passaggi, e in questo senso l’Europa è avvantaggiata
perché è fornita di questi sistemi sia nel Mediterraneo sia nell’Atlantico. «Le
système insulaire de l’Europe se distingue avantageusement parmi tous les
autres. Ses côtes et ses îles entourent le continent comme des satellites, et
lui servent de stations, de prolongements océaniques» [Ibidem, 261].
Nell’estendere comparativamente questo
principio ad altre parti del globo di cui non ci possiamo occupare in questo
momento, è dichiarato il debito verso la geografia antica. «La
remarque faite par Strabon, à l’occasion de la Sicile, que les articulations
continentales, mais surtout les îles, étaient les parties du monde plus
richement douées, se confirme complètement» [Ibidem, 262].
Le Geografie Universali
La Geografia di Strabone viene considerata un modello anche per un genere
che avrà grande successo a partire dal XIX secolo: la Geografia Universale,
il cui primo esponente in area francofona è Conrad Malte-Brun, autore dei Précis
de Géographie Universelle [Malte-Brun 1810-1829].
Arguably,
Strabo’s Geography is the earliest surviving example of a universal geography.
It is also a work which Malte-Brun had read, which he cited and discussed in
several of his most important publications (…) it will become clear as we
explore a few of the most important universal geographies of the eighteenth and
nineteenth centuries that both the tone and the form of the genre was already
well established in Strabo’s geography [Godlewska 1999, 92].
E’ nella seconda opera di questa
“serie”, la Nouvelle Géographie Universelle di Reclus [Reclus
1876-1894], che l’autore applica su vasta scala il principio dell’articolazione
costiera, assumendo in primo luogo il concetto di “movimento storico” come
relazione fra territori e storia delle popolazioni. L’autore fornisce dalle prime pagine la sua idea di pronoia,
che si accompagna a un’interpretazione laica della teleologia di Ritter, che
dava invece alla religione una forte centralità nel proprio discorso. Ciononostante, è grazie all’autore dell’Erdkunde che «nous
savons que les continents, les plateaux, les fleuves et les rivages se sont
disposés, non pas au hasard, mais en vertu des lois du mouvement, lois
éternelles qui font graviter les astres autour des astres, les continents et
les mers autour d’un axe central» [Reclus 1859, 241]. La
teleologia di Reclus, che oltre a essere geografo è anche uno dei fondatori del
movimento anarchico internazionale, non è più dunque legata a elementi
religiosi o metafisici, ma alla scienza: bisogna ricordare che nella seconda
metà del XIX secolo è proprio riferendosi alle scienze “positive”, dalla
geologia di Charles Lyell alla biologia evoluzionista di Charles Darwin, che i
liberi pensatori e gli intellettuali di tendenza socialista e anarchica tentano
di sconfiggere i dogmi della religione.
Sull’articolazione costiera europea,
in particolare mediterranea, è Reclus che trova alcune metafore per collegare questo concetto a quello di sviluppo
umano e intellettuale, prendendole dalla geometria o dall’anatomia come prescritto tanto da Strabone quanto da Ritter.
Ad esempio le isole e penisole dell’Egeo, che all’epoca dell’antica Grecia
hanno visto la nascita della filosofia, sono definite «ces replis de cerveaux
où s’élabore la pensée de l’homme» [Reclus 1876, 47]. Metafora che trova la sua
continuazione nell’articolo Hégemonie de l’Europe, che individua anche
su quali vie storiche siano passati in seguito i saperi. «Les
voies historiques, sur lesquelles fluaient et refluaient les migrations et se
propageaient les courants du commerce et de la pensée entre les peuples, eurent
dans le grand organisme terrestre le rôle que prennent les filets nerveux dans
le corps humain» [Reclus 1894a, 437].
Vie di comunicazione che dunque
rendono la geografia mobile e
in cui i centri nevralgici fanno come le popolazioni: possono spostarsi. Questo elogio di una varietà che è anche
compenetrazione dell’elemento liquido e di quello solido cerca di assumere,
partendo dal dato storico, la natura globale del funzionamento del mondo
contemporaneo.
Bisogna considerare
che alla forte “egemonia” europea dell’epoca, che ha risvolti
economici e politici, come il colonialismo, criticati dal geografo, sono
inscindibilmente associati nel suo pensiero anche i valori del pensiero
“positivo” transitato dalla filosofia greca all’Illuminismo e culminato nella Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen, ritenuta da Reclus una delle basi per le successive idee
socialiste.
Di qui l’idea del Mediterraneo antico
come culla di tali idee affermata anche in altri articoli. «Dans
la philosophie, dans la morale, dans la conception de la vie personnelle et
collective, ils n’achevèrent leur œuvre que longtemps après ; c’est en
exil, peut-on dire, que la Grèce rédigea le testament des siècles vécus par
elle, et sa méthode d’enseignement pour les peuples à venir» [Reclus 1902]. Si
arriva anche a fare un diretto parallelo fra le concezioni cosmopolite degli
scienziati dell’antica Grecia e quelle dell’Internazionale dei Lavoratori:
Jamais
le principe de la grande fraternité humaine ne fut proclamé avec plus de
netteté, d’énergie et d’éloquence que par des penseurs grecs : après avoir
donné les plus beaux exemples de l’étroite solidarité civique, les Hellènes
affirmèrent le plus hautement le principe de ce que deux mille ans après eux on
appela «L’internationale». Démocrite était «citoyen du monde» et Socrate,
d’après la tradition, aurait déclaré que sa patrie était «toute la terre» [Ibidem].
Se le articolazioni
dell’Egeo sono i circuiti cerebrali dell’umanità e l’hanno portata a queste
prime conclusioni, allora possiamo individuare in Reclus un implicito
collegamento fra le articolazioni costiere e le origini del pensiero anarchico,
nel quale peraltro trovano un posto preponderante quelle autonomie cittadine di
cui proprio la forma articolata del continente ha permesso il mantenimento in
diverse epoche della sua storia.
Il principio dell’articolazione
costiera e la ripresa straboniana permettono al geografo di definire non solo
l’Europa, ma anche le sue suddivisioni interne. Nella sua geografia universale si distingue un’Europa orientale,
pianeggiante e continentale, corrispondente al territorio allora sottoposto al
dominio dello zar, al di là dell’istmo ponto-baltico. La parte occidentale del
continente, mediterranea e oceanica, è definita invece come «l’Europe
proprement dite, que Strabon qualifiait déjà de bien membrée» [Reclus 1880,
278].
Anche nella sua definizione dei
concetti di Est e Ovest nel mondo antico [Reclus 1894b; Pelletier 2007], tale
principio serve a individuare in maniera unitaria il bacino del Mediterraneo,
attorno al quale gravitano le civiltà che Reclus definisce “occidentali”,
considerando come Oriente vero e proprio solo le aree culturali indiane e
cinesi, situate al di là dello spartiacque costituito dai deserti e dalle vette dell’Asia centrale.
Fra “scienza francese” e “scienza
tedesca”
La terza delle grandi geografie
universali francesi è la Géographie
Universelle redatta, ormai in pieno Novecento, dagli allievi di Paul Vidal
de la Blache [Gallois e Vidal de la Blache 1927-1948]. Anche
se la storiografia disciplinare ha in passato
contrapposto questo autore tanto a Reclus quanto ai geografi tedeschi,
bisogna precisare che il padre della scuola francese della géographie
humaine si forma a sua volta in questo clima culturale e i suoi testi,
soprattutto i primi, lo dimostrano.
Vidal ha conosciuto bene le opere e
gli allievi di Ritter durante i suoi soggiorni in Germania [Ahlbrecht 2006,
158-160] e dedica al geografo tedesco diverse citazioni.
Alcuni elementi della comune matrice ritteriana di
Reclus e Vidal sono sottolineati da Marie-Claire Robic quando scrive che i due
émettent des jugements semblables sur la
variabilité historique des relations entre les hommes et le milieu. Ils
rejoignent en cela le géographe allemand Carl Ritter, qui est leur commun
inspirateur, non exclusif d’ailleurs : Reclus a été l’auditeur du cours de
Ritter à Berlin et a traduit l’une de ses leçons (…) tandis que Vidal, lecteur
de Ritter depuis ses premières missions de chercheur à l’École d’Athènes, s’en
montre un connaisseur averti et n’hésite pas à lire les écrits de Reclus à
l’aune des propos ritteriens [Robic 2009,
306-307].
Un altro dei comuni autori
di riferimento è Strabone, che Vidal ritiene un’autorità insuperata ancora al
tempo delle scoperte ed elaborazioni geografiche di età moderna, quando «ceux qui, d'après ces données, essayaient de retracer des
tableaux ou des "miroirs" du monde, ne se montrent en rien supérieurs
à Strabon» [Vidal de la Blache 1922, 4].
Inaugurando il suo primo corso di geografia all’università di
Nancy nel 1873, Vidal dedica all’Europa la sua lezione d’apertura, perché é
quella la parte del mondo dove si è sviluppata e continua a svilupparsi la “civiltà”.
Il soggetto dell’interesse per il continente è un “noi” che si identifica con
la nazione francese, che sta cercando, nei primi anni della Terza Repubblica,
una sua collocazione tanto europea quanto mondiale dopo la dura sconfitta
subita dalla Prussia nel 1870. «L’Europe est
le théâtre sur lequel se jouent nos destinées, le principal marché qui s’ouvre
à nos produits, l’objet par conséquent qu’il nous emporte le plus de connaître
(…) L’Europe est aujourd’hui le foyer de la seule forme de civilisation qui ait
le don de se propager en d’autres parties de l’univers» [Vidal de la Blache
1873, 2]. Vidal riconosce come principale originalità
dell’Europa proprio l’articolazione: il suo doppio sistema di mari secondari o
interni le garantisce, a sud come a nord, un livello di compenetrazione fra
l’elemento liquido e quello solido di cui non dispone alcun altro continente.
Nei successivi Principes de Géographie Humaine Vidal sottolinea
maggiormente l’importanza del Mediterraneo, le cui penisole sono individuate
come luoghi di crescita di popoli e civiltà che proprio a causa delle densità
raggiunte hanno potuto espandersi tramite l’emigrazione.
On voit des îles, des articulations
littorales, d’étroites bandes bornées par les montagnes, chargées d’une
population surabondante, se défaire par l’émigration de ce surplus.
Quelques-unes ont dû à cela un rôle qui a eu son importance dans la
civilisation. C’est par la Phénicie, la Hellade, les îles de la mer Égée et de
la mer Ionienne que la Méditerranée est devenue ce qu’elle reste dans
l'histoire générale, un lieu de concentration et de syncrétisme de peuples [Vidal de la Blache 1922, 98].
Anche Vidal esprime la consapevolezza del valore epistemologico di
questi principi: «Les considérations de Thucydide sur la Grèce archaïque, de
Strabon sur la position de l’Italie, procèdent des mêmes exigences d’esprit que
certains chapitres de L’esprit des lois ou de l'Histoire de la
civilisation en Angleterre de Thomas Buckle. Ritter s’inspire aussi de ces
idées dans son Erdkunde» [Ibidem, 5].
Nel più celebre dei suoi lavori, il Tableau de
la Géographie de la France, il geografo cita il ruolo storico del
frastagliamento costiero della costa meridionale della Bretagna nello sviluppo
di una popolazione celtica di commercianti in epoca protostorica. «Rien de plus naturel que la formation d’une
puissance maritime et commerciale à la proximité des gisements d’un minerai
précieux, et sur une côte découpée, bordée d’îles, propice aux débuts de la
navigation, comme celle qui s’étend entre Quiberon et Le Croisic» [Vidal de la Blache 1903, 21]. Simili considerazioni ritornano anche a proposito de litorale
mediterraneo, nel capitolo in cui analizza la conformazione della costa
provenzale. «Cette côte aux dentelures variées, fertile en
articulations de détail, évoque le souvenir des temps anciens où aucune de ces
anses n’était trop petite pour les navires, où chacun de ces promontoires
servait de point de repère aux navigateurs, où ces découpures faciles à isoler
et à défendre offraient aux commerçants ou aux pirates autant d’amorces pour
prendre pied sur le littoral» [Ibidem,
344].
Bisogna fare notare che il francese, in questi passaggi, non
sembra molto lontano da un geografo tedesco considerato generalmente fra i
principali epigoni di Ritter: Friedrich Ratzel. Nella sua classica Anthropogeographie (la cui prima versione è del 1882) questi riprende il principio
dell’articolazione costiera facendo importanti
precisazioni e criticando lo stesso Ritter. Troviamo in Ratzel la
preoccupazione di mantenere la ricerca su metodi che le scienze sociali odierne
definirebbero “qualitativi” più che “quantitativi”. In particolare il geografo
sostiene il concetto di posizione relativa in virtù del quale più della forma
della costa è importante il territorio retrostante, perché questo può
esercitare sul litorale un peso demografico più o meno considerevole. Non è
dunque il numero, inteso come calcolo dello sviluppo costiero o proporzione fra
articolazioni e corpo continentale, che dà senso alla ricerca, ma l’analisi
della «relazione, che corre tra la
superficie stabile della Terra e l’umanità che si viene mutando sopra di essa»
[Ratzel 1914, 31].
Ratzel conferma da una parte il principio
ritteriano della partecipazione delle isole al concetto
di articolazione, affermando che «per determinare il valore
storico delle coste occorre anche considerare se dinanzi ad esse vi siano
oppure no delle isole» [Ibidem, 294]; dall’altra individua eccezioni a
un’applicazione troppo rigida di tale metodo. Proprio in un articolo pubblicato
in francese dalla rivista dei “vidaliani”, «Annales de Géographie», il geografo
tedesco fa notare che la costa orientale della Corsica, storicamente in
contatto con il litorale italiano e abbastanza lineare, è più sviluppata dal
punto di vista del popolamento e dei commerci, «tandis que la côte abrupte
appartient au versant qui tourne le dos à la civilisation» [Ratzel 1899,
322].
Ratzel propone alla teoria un’importante integrazione per cui i
fiumi navigabili, soprattutto se dotati di estuari portuosi, costituiscono una
vera estensione della linea costiera. «Il concetto dello
sviluppo della costa deve trovare il suo complemento in quello dello sviluppo
delle linee fluviali» [Ratzel 1914, 302]. Questa concezione non pare
contraddire l’idea, espressa da Ritter e Reclus, di articolazione intesa come
compenetrazione dei due elementi liquido e solido.
Conclusione
Abbiamo potuto vedere quanto sia necessaria per capire la
geografia di questo secolo la ripresa straboniana, talmente forte che nel 1892
Marcel Dubois, mentre espone sulle «Annales de Géographie» molti dei concetti
qui analizzati, ironizza sullo scivolamento di alcuni suoi contemporanei verso
un’agiografia anacronistica del maestro di Amasea, sollecitando un maggiore
sforzo critico. «Il est des géographes qui
défendent l’arche sainte des souvenirs classiques avec une persistance
excessive ; à les entendre, tout ce que Strabon écrivait au siècle
d’Auguste resterait vrai sans exceptions ou à peu prés» [Dubois 1892, 132]. Non é che uno dei possibili esempi di quanto forte
sia stata l’influenza degli autori dell’Antichità sulla geografia del XIX
secolo, dalla quale del resto non sembra esente neppure l’ultimo autore citato.
Si resta infatti nell’ambito di una tenuta del principio dell’articolazione costiera, che solo nel
secolo successivo, fra i geografi, comincerà a declinare in favore di analisi
che si presumevano meno “deterministe” [Farinelli 1980]. Si possono prendere come una sintesi di questo secolo di geografia
europea le considerazioni di un geografo molto vicino a Reclus, Léon
Metchnikoff: «de K. Ritter et A. de Humboldt à leurs plus modernes
continuateurs, les géographes ne se lassent point d’égrener le long chapelet
des avantages sociologiques résultant, pour notre Europe, de l’articulation si
parfaite de ses côtes» [Metchnikoff 1889, 64].
Possiamo dunque concludere che questo principio non solo ha
una lunga storia in geografia, ma fino agli inizi del
Novecento caratterizza autori legati a differenti “scuole nazionali”.
Quelli che più di tutti hanno tentato di ragionare a scala globale, ossia gli
autori delle geografie “generali” o “universali”, vi si sono dovuti
immancabilmente confrontare.
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